L’altare fatto con una piccola barca, il calice in legno (anche se rivestito internamente d’argento, come le norme canoniche prescrivono), la ferula fatta con due semplici legni incrociati e dipinti di bianco e blu. Si è presentato così, Papa Francesco, a Lampedusa lunedì scorso. Il Papa che si faceva ultimo tra gli ultimi e che per questo ha voluto una celebrazione penitenziale, raccolta.
Preghiera prima di tutto, il resto non conta. E infatti Francesco non ha voluto saperne di papamobile o jeep bianca: il giro dell’isola lo ha fatto a bordo di una vecchia Campagnola prestata da un abitante del luogo. Ha chiesto di lasciar perdere anche l’elicottero pronto a trasportarlo dal Vaticano a Ciampino: il tragitto è breve, si può anche andare a bordo di una semplice berlina. Segni che dicono molto, e chiariscono ancora meglio, il senso che il Papa “preso quasi alla fine del mondo” vuole dare al suo Pontificato.
Il Papato tra demitizzazione e desacralizzazione
Tutti segnali che, non a caso, hanno fatto parlare di “demitizzazione del Papato”. Uno dei primi, a Porta a Porta, è stato il padre comboniano Giulio Albanese. Per carità “non è in gioco la desacralizzazione”, ha aggiunto. Ma il resto sì. Argomenti che l’ala tradizionalista della chiesa va calcando fin dal 13 marzo scorso, quando Bergoglio si affacciò sulla Loggia delle Benedizioni vestito con la semplice talare bianca. E la mozzetta?, dissero gli esperti del vestiario proprio del Pontefice.
La mozzetta di velluto rosso bordata d’ermellino (sintetico) era rimasta appesa nella stanza delle Lacrime. Il neoeletto non volle indossarla, benché fosse lì a disposizione e da sempre appartenente al corredo dei papi. E così disse no alla croce d’oro, alle scarpe rosse e perfino ai pantaloni bianchi. Ecco che il Papa si rifiuta di fare il Papa, commentò chi vide nella figura dell’anziano arcivescovo di Buenos Aires eletto al Soglio di Pietro il realizzatore delle istanze più progressiste del Sacro Collegio, quelle favorevoli a un Papa primus inter pares che centrasse la missione più sull’essere vescovo di Roma che capo della chiesa universale. Ma Bergoglio sta realmente demitizzando il Papato?
Il barocchismo che non c’è più
Prima di tutto bisognerebbe chiedersi cosa si intenda per “mito del Papato”. Se guardiamo qualche video su Youtube risalente agli anni Cinquanta (e non siamo nel Rinascimento, quindi) o ai primi anni Sessanta, ci accorgeremmo che tanto è cambiato da sembrare un film ambientato secoli fa. Allora c’era la Corte pontificia, le guardie nobili, il Papa con la tiara e le chiroteche (i guanti). Poi, con il Concilio, tutto è cambiato. Il Papa si è spogliato progressivamente di tutti quei simboli che il cardinale tedesco Walter Kasper ha più volte definito come “espressioni di un barocchissimo” ancora presente nella chiesa.
Nelle frange più tradizionaliste viene guardata con sospetto perfino l’apertura alla sinodalità e alla collegialità fatta sia da Francesco sia da importanti cardinali, come ad esempio l’honduregno Oscar Maradiaga (coordinatore del gruppo che studierà la riforma della curia). L’ala conservatrice sostiene che la sinodalità non è neppure concepibile, richiamando così quanto disse alla vigilia del secondo Conclave del 1978 il cardinale genovese Giuseppe Siri, campione del settore più tradizionalista e ritenuto per anni il delfino di Pio XII. Il timore è che dando potere ai vescovi e, conseguentemente, agli episcopati nazionali, il Pontefice finisca per essere non più il capo supremo della chiesa cattolica, ma solo un primus inter pares.
Ma il primato di Pietro non si tocca
La posizione di Bergoglio, però, sembra essere chiara. Egli è sì favorevole alla collegialità e a sviluppare la sinodalità (l’ha ripetuto spesso in questi primi quattro mesi di pontificato), ma altrettanto esplicito è stato nel sottolineare che tutto ciò dovrà sempre coordinarsi al primato petrino. Pensiero semplice ma chiaro: ci si consulta spesso sulle grandi questioni della chiesa, ma alla fine chi decide è uno solo, il Papa. Una linea che Francesco ha già dimostrato di saper mettere in atto.